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Il testamento di un sordomuto

La curiosa storia di Luca Riva

Data: 06/04/2021
Il testamento di un sordomuto

Cercando aneddoti sfiziosi per ampliare la rubrica on-line del nostro sito mi sono imbattuto in un documento molto curioso, e incredibilmente prezioso. Lo "scritto" risalente al 1624 è conservato in doppia copia, sia nell’archivio notarile di Milano, sia in quello dell’Ospedale Maggiore milanese. Ho trovato molto soddisfacente scoprire che il luogo in cui studio possa essere da così tanto tempo un punto di riferimento per chi è affetto da patologie legate all’udito.

Il documento in questione è un elenco di ultime volontà lasciato da tale Luca Riva, abitante in Porta Orientale, oggi Porta Venezia, che “nel trentunesimo anno di età sua, volendo disporre per atto di ultima volontà delle sue sostanze, trovandosi infermo di infermità pericolosa, comparve davanti al notaio Pietro Antonio Calchi, e qui vi fece il suo testamento” alla presenza di alcune personalità istituzionali, due interpreti e sette testimoni. Di tutte queste persone è possibile ritrovare traccia negli archivi cittadini dell’epoca.

La particolarità di questo ritrovamento è legata all’autore del testamento: Luca Riva era un pittore allievo di quel Camillo Procaccini a cui il Cardinale Federico Borromeo commissionò diverse opere nella diocesi milanese e che contribuì all’affermazione della neonata Accademia di Pittura della città.

 

Il testamento di Luca Riva 

Riva era affetto da sordomutismo fin dalla nascita e aveva serie difficoltà a comunicare se non attraverso interpreti. Egli sapeva far di conto e scrivere per intero il suo nome ma era parzialmente analfabeta, cosa molto frequente all’epoca. Come fece, allora, a scrivere il suo testamento in modo che fosse una prova chiara e incontestabile delle sue ultime volontà?

Il giovane infermo ricorse all’unico linguaggio con cui sapeva esprimersi, quello dell’arte figurativa!

Il testamento è costituito da otto legati (disposizioni con cui l’autore lascia i suoi beni in eredità); ciascuno di essi è accompagnato da un’illustrazione precisa che indica il legatario di turno (persona a cui spetta la parte di eredità indicata) e una semplice didascalia che spiega cosa viene lasciato a ogni singola persona.

Il primo legato del testamento di Luca Riva

Da buon cittadino e cristiano” ,dice il notaio, e da marito affezionato, aggiungo io, Luca Riva pensa subito a sua moglie Laura Facina. A lei spetta una somma di quattromila lire più tutti i mobili della loro casa. Per indicarlo Riva ritrae se stesso e sua moglie che si guardano negli occhi e si danno la mano nell’atto del matrimonio. Si notano i particolare della chiesa in cui il sacramento è stato celebrato e gli abiti dell’epoca: la moda  è spagnola, usanza dovuta alla dominazione straniera che Milano subiva in quegli anni.

Sotto la figura Riva scrive di suo pugno la cifra e i beni che vuole lasciare alla moglie e vi appone la sua firma.

 

Il secondo legato del testamento di Luca Riva

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Il secondo legato è in favore della chiesa di S. Giovanni in Conca di cui oggi resta solo l’abside in Piazza Missori. Affidata ai Padri Scalzi la chiesa si vede attribuita in eredità una somma pari a 500 lire. Sulla raffigurazione vi erano rappresentati Santa Teresa e San Isidoro, il cui culto era celebrato nella suddetta chiesa, insieme a un Padre Scalzo in preghiera.

 

Il terzolegato del testamento di Luca Riva

Il terzo schizzo rappresenta il santo Francesco di Paola con i suoi caratteri distintivi: la barba lunga, il cappuccio tirato sulla testa e il bastone da eremita. Il pittore intende lasciare mille lire alla chiesa della Madonna della Fontana fuori Porta Comasina, oggi Porta Garibaldi, dove il santo è venerato.

 

Il quarto legato del testamento di Luca Riva

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L’artista si ricorda anche della sua parrocchia a cui lascia mille lire. La quarta raffigurazione presenta l’artista inginocchiato mentre riceve la comunione dal sacerdote. Un chierichetto assiste il prete durante la celebrazione dell’eucarestia e sul fondo si riconosce l’altare di San Vito al Pasquirolo di cui il testatore era, appunto, parrocchiano.

 

Il quinto legato del testamento di Luca Riva

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L’artista si ricorda anche della sua parrocchia a cui lascia mille lire. La quarta raffigurazione presenta l’artista inginocchiato mentre riceve la comunione dal sacerdote. Un chierichetto assiste il prete durante la celebrazione dell’eucarestia e sul fondo si riconosce l’altare di San Vito al Pasquirolo di cui il testatore era, appunto, parrocchiano.

 

Il sesto legato del testamento di Luca Riva

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Nella sesta rappresentazione sono ritratte tre figure: un uomo e i suoi due bambini. I bambini sono i nipotini di Luca, Carlo Riva e la sorellina di sette anni, a cui spettano 400 lire a testa in eredità. Il pittore spera di provvedere al futuro dei due poverini in quanto suo fratello Felice, padre dei bambini, è stato esiliato dal Ducato di Milano per omicidio e i suoi beni sono stati confiscati. L’uomo presente nella scena è proprio il fratello bandito ed è rappresentato come un bravo di manzoniana memoria con tanto di mantello, cappellaccio e pugnale.

 

Il settimo legato del testamento di Luca Riva

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Le sei fanciulle accompagnate da una suora raffigurate nella sesta immagine erediteranno, in gruppo, 600 lire. Non è ben chiaro quale sia la loro identità ma dagli abiti e dal fatto che tengono il rosario in mano si pensa fossero sei “povere e oneste fanciulle” ospitate nella parrocchia del testatore.

Il ottavo legato del testamento di Luca Riva

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L’ottavo legato assegna 400 lire all’ordine dei Frati Carmelitani Scalzi della chiesa di S. Giovanni in Conca dove è sepolto il padre del testatario. Se ricordate il secondo legato assegnava già 500 lire a questa stessa chiesa: in quel caso la somma era indirizzata al mantenimento della struttura mentre in questo si fa riferimento ai frati quali custodi del sepolcro paterno. Per indicare le sue intenzioni l’artista rappresenta un frate carmelitano in adorazione della Beata Vergine del Carmine.

Per Luca Riva la chiesa e la religione ricoprivano un ruolo fondamentale, non solo dal punto di vista spirituale ma anche da quello occupazionale e lavorativo. Le richieste di opere a carattere religioso, infatti, assorbivano la maggior parte delle energie degli artisti di quel tempo. Per Camillo Procaccini e il suo allievo sordomuto, il mondo della fede rappresentava la più grande opportunità di lavoro. Ecco quindi che anche il nono legato dell’artista dona 300 lire a un ordine monastico, quello dei Padri Zoccolanti della Pace. In questo disegno Riva è inginocchiato davanti alla cattedra da cui un Padre Zoccolante lo assolve dai peccati.

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Il decimo e ultimo legato consegna il rimanente del patrimonio di Riva all’istituzione alla quale, forse, si è sentito più debitore: l’Ospedale Maggiore di Milano. Questo atto potrebbe essere interpretato come un antico finanziamento a una struttura medica oppure come un gesto di altruismo di un infermo verso altre persone nella stessa condizione di disagio. Forse Riva sperava che disponendo di più risorse l’ospedale potesse essere più efficiente nell’aiutare chi vi si rivolgeva. Certo è che se un giovane pittore sordomuto si è ricordato nell’eredità dell’Ospedale della sua città significa che vi si è rivolto e ne ha avuto beneficio. Soprattutto ha voluto finanziare una realtà che riteneva attendibile ed efficace nella speranza che potesse migliorarsi nella cura degli infermi.

La decima figura rappresenta l’ambiente ospedaliero dell’epoca (pochissimo prima della peste di cui narra Manzoni) con un grande corridoio e un letto in cui giace un infermo. Una colomba con l’ulivo rappresentano la fede e la speranza di salvezza che aleggiano in quel luogo. Uno storpio sorretto dalle grucce consegna quello che potrebbe essere un atto di povertà ai due notabili dell’ospedale (una sorta di esenzione dal moderno ticket per chi dichiara un reddito basso!).

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Sotto la decima immagine, Luca Riva scrive semplicemente “Tutto” e firma tre volte con nome e cognome.

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Il testamento, come già detto, è stato realizzato in due copie, una conservata nell’Archivio Notarile della città di Milano, l’altra di proprietà dell’Ospedale Maggiore a testimonianza del lascito dell’artista sordomuto Luca Riva.

Questa piccola ma preziosissima traccia ci cala nella realtà quotidiana della Milano dei Promessi Sposi e racconta di una problematica, quella delle patologie uditive, che oggi come allora è poco considerata dalla cultura e dall’opinione pubblica. Tantissime persone, come Luca Riva ai suoi tempi, devono scontrarsi con la difficoltà dell’integrazione sociale e con l’ignoranza generalizzata che la società riserva ai non udenti. 

Fortunatamente non è raro che chi è carente di udito abbia una personalità vincente e riesca a sviluppare qualità straordinarie (nel caso di Riva si tratta della sensibilità artistica ma pensate anche a persone come Beethoven!), la speranza è che molte più persone del ventunesimo secolo abbiano la stessa lungimiranza di un giovane pittore sordo del 1600 e vedano nel sostegno alla ricerca medica un valido investimento per il futuro.

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